Artemisia Gentileschi e Storia della Legge contro la Violenza sulle Donne


Artemisia Gentileschi è stata una pittrice del’600 molto apprezzata sia per la sua arte che per il suo  desiderio di emancipazione, fu soprattutto una delle prime donne a vincere una causa di violenza sessuale superando le chiusure culturali e sociali del tempo, spostando sempre più l’attenzione verso la necessità di leggi e regole che proteggano e difendano le donne.

Ma in quale periodo storico possiamo parlare di Legge Contro la Violenza sulle Donne e come essa si è evoluta nel tempo?

Artemisia Gentileschi – Susanna e i Vecchioni (1610)

La Storia delle leggi che regolano e tutelano oggi la dignità della donna è legata all'Evoluzione della visione di essa all'interno della società. Esistevano infatti popolazioni, come quella Egizia o Mesopotamica, dove le donne potevano dirsi in condizione quasi paritaria all’uomo, tanto da poter ambire anche a ruoli politici o disporre di proprietà sia monetaria che terriera.

Se parliamo dell’Italia la nostra penisola ha ereditato la visione delle donne dal mondo greco-romano, nel quale erano viste un po’ come un oggetto e sottomesse prima al padre e poi al marito.


La svolta inizia nella Roma Imperiale, in quel periodo, anche se ritenute ancora inferiori all'uomo, le donne potevano uscire con maggiore libertà e anche fare carriera. Ed è nel tardo Impero , precisamente in età Giustiniana (VI sec.d.C) che compare nel Codice Giustiniano una legge precisa che puniva la violenza sessuale sulle donne a patto che la vittima fosse “honesta et ingenua”. A determinare dunque la punibilità della violenza era la virtù della donna violentata che doveva essere vergine, se non ancora sposata, o casta se vedova oppure di liberi natali, cioè appartenente ad una classe superiore. La pena inflitta all’uomo stabilita era, se di alto rango, la confisca di metà delle proprietà oppure punizioni corporali o l’esilio se la persona apparteneva ad una classe inferiore. 

Di questa legge, nel corso dei secoli, rimarrà in vigore il principio della punibilità della violenza solo in caso in cui  la donna avesse una buona reputazione con l’aggiunta che la punizione per l’uomo accusato non era per aver fatto violenza sulla donna ma per aver oltraggiato la morale. Dunque agli occhi dei giudici entrambi erano colpevoli, sia l’uomo che la donna, di aver oltraggiato la morale e bisognava soltanto capire chi dei due avesse costretto o indotto l’altro a farlo.

Questo emerge proprio nel caso della violenza sessuale subita a Roma nel 1611 dalla pittrice Artemisia Gentileschi da Agostino Tassi, amico e collega del padre di Artemisia che lo aveva scelto come maestro di prospettiva per la figlia.

Artemisia - Autoritratto come Allegoria della Pittura
Artemisia era già al tempo riuscita a vincere la battaglia per l’emancipazione tanto da far carriera, però la violenza subita e tutto l’iter processuale fece emergere quanto le donne fossero ancora definite un oggetto la cui testimonianza doveva anche essere provata con la tortura o con la presenza di un altro uomo a conferma della veridicità delle accuse e  dello status morale della donna, in questo caso fu  il padre Orazio Gentileschi a sporgere denuncia con una supplica rivolta a Papa Paolo V.

Per evitare la condanna il Tassi cercò, usando sia false testimonianze che il ritardo della denuncia, di negare proprio la purezza morale della giovane che fu sottoposta così prima un esame ginecologico e poi ad un interrogatorio sotto tortura (la tortura della Sibilla) consiste nello stritolamento delle dita della mano. Tale cosa fu fatta,secondo l’uso del tempo, con il fine di purificare l’anima della giovane che all'occhio dei giudici si era comunque macchiata del reato di “offesa alla morale” pur se vittima. 

Artemisia-Autoritratto come martire
Artemisia vinse ed il Tassi fu costretto a pagare una dote alla ragazza e all'esilio. La dote serviva per consentire la giovane di fare un matrimonio riparatore con un altro uomo, unico modo per eliminare l’offesa ricevuta e tornare rispettabile agli occhi di tutti. Di solito solo il matrimonio con lo stupratore poteva ridare dignità alla donna quando però risultava difficile poter punire con un processo l’aggressore. Artemisia fu dunque una delle poche fortunate il cui caso è studiato ancora oggi per capire che influenza abbia avuto sui futuri dibattiti sui diritti e la difesa delle donne.

Nel ‘800 il giurista Francesco Carrara affermò che tutte le forme di violenza, sia fisica sia sessuale, sulle donne sono “delitti che offendono una persona senza toglierle la vita “. 
Le donne ed i bambini erano da lui visti come persone da proteggere e non più come degli oggetti di proprietà del padre o del marito . Le sue idee liberali influenzarono la maggior parte delle costituzioni europee del tempo in particolare il Codice Zanardelli, cioè il codice penale italiano entrato in vigore nel  1889, ma non riuscì ne a liberare le donne dalle violenze fisiche familiari, ritenute punibili solo se continue e molto violente (in caso contrario erano definite sostenute da “animus corrigendi” cioè spinte dal tentativo di correggere il familiare soggetto a violenza), ne dall'idea comune che la violenza sessuale non fosse violenza fatta su una persona ma una violenza perpetrata solo contro la morale . Il risultato fu che, anche se il violentatore veniva condannato ad una pena che in Italia andava dai 3 ai 10 anni di reclusione, le donne, anche se uscivano vincitrici dall'aula di un tribunale, venivano identificate dalla società comunque come colpevoli contro la morale anche se vittime della violenza subita.

Nel 1930, in piena dittatura fascista, un’ulteriore evoluzione della legge contro la violenza sulle donne la ritroviamo con il Codice Rocco. Per la visione delle donne in questo periodo si fa un passo indietro seguendo il principio della famiglia patriarcale romana con a capo il Pater Familias. All’interno della famiglia la donna doveva essere “sposa e madre esemplare” dunque soggetta al marito e moralmente impeccabile. In caso di violenza sessuale il reato lo ritroviamo nelle sezioni “Dei Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” e in “Dei delitti contro la morale familiare”, in entrambi i casi si continua a ritenere tale violenza non perpetrata ai danni di una persona ma a danno della morale e la pena variava dai 6 ai 12 anni di prigione.

Altra aggiunta era la distinzione tra violenza carnale ed atto di libidine. In pratica la donna soggetta alla violenza veniva sottoposta ad una invasivo esame ginecologico attraverso i quale si distingueva il tentativo di stupro alla violenza vera e propria conclusasi con un rapporto completo. Solo in quest’ultimo caso il reato veniva punito severamente o riconosciuto tale. C’era però purtroppo la possibilità per il violentatore di trasformare la violenza in “Ratto a fine Matrimonio” , in quel caso l’uomo poteva chiedere di sposare la donna che, se oltraggiata, doveva obbligatoriamente accettare ed è in questo che emerge l’immagine della donna vista ancora come oggetto di cui appropriarsene. 

Finisce la II Guerra Mondiale ed in Italia viene proclamata la Repubblica. Anche se con una nuova Costituzione restano invariate le leggi contro la violenza sulle donne che seguono in tutto il Codice Rocco, mentre la legge sulla violenza fisica fatta dal marito sulla moglie e sui figli continuò ad essere vista possibile in caso di “animus corrigendi” sino al 1956 anno in cui tale regola fu abolita.



Negli anni ’60 una serie di eventi iniziano a far emergere questa mancanza di leggi in difesa delle donne e della loro incolumità in quanto persone e non cose. Il primo evento fu la decisione di una ragazza siciliana, Franca Viola, di non sposare il suo violentatore, Filippo Melodia, che voleva così evitare la galera. Il caso colpì l’opinione pubblica anche perché la ragazza riuscì a vincere la causa nel 1966 portando all'arresto l’uomo, condannato poi a 11 anni di reclusione,e allo sconto di pene minori per 5 dei suoi 12 complici.

Tra il 1968 ed il 1969 veniva anche dichiarato illegittimo l’art. 559 della Costituzione che puniva solo l’adulterio della moglie.

Negli Anni ’70 alcuni fatti gravi tra i quali il Massacro del Circeo e la violenza subita dall'attrice Franca Rame portano l’opinione pubblica al desiderio di cambiare le leggi stabilite nel Codice Rocco ed ancora applicate. Il 2 Dicembre 1977 la deputata Angela M. Bottari del PCI firma un progetto dal nome “Nuove norme a tutela della libertà sessuale” spianando la strada alla battaglia per affermare che la violenza sulle donne non è da racchiudere nella sola offesa morale ma in un atto contro una persona.
Nel 1981 la legge elimina il “Matrimonio Riparatore” non facendo estinguere con questa scusa il reato di violenza carnale.

Siamo arrivati all'anno più importante cioè il 1996: Con l’Approvazione della legge n°66 il reato di Violenza Sessuale viene riconosciuto in maniera definitiva come “delitto contro la persona”, cade dunque la regola per secoli vigente in Italia che identificava la violenza sessuale sulle donne come reato contro la sola morale.

Negli anni 2000 il desiderio di stabilire un’insieme di Leggi contro la Violenza sulle Donne ha oltrepassato i confini italiani. Infatti è l’Unione Europea questa volta a dar vita ad un Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulla protezione delle donne dalla violenza e ad un insieme di campagne sostenute anche da Amnesty International per dar vita a leggi che tutelino le donne da ogni forma di violenza. 

Tutto questo porterà alla firma della famosa Convenzione di Istambul del 2011, il primo trattato internazionale che punisce le diverse forme di violenze sulle donne suddividendole in : violenza sessuale, violenza fisica, violenza psicologica, stalking, stupro, matrimonio forzato, mutilazioni genitali, aborto forzato e molestie. La Convenzione vide tra i firmatari paesi come l’Italia ,la Francia, la Spagna, la Turchia e la maggior parte dei paesi est europei tranne la Russia (come ha evidenziato il clamore suscitato da una legge russa che riduce ad una semplice multa la violenza domestica su moglie e figli se fatta per correzione, un passo indietro di 100 anni).

Oggi in Italia, oltre all'applicazione della Convenzione di Istambul, è stato riconosciuto il reato di Stalking nel 2013 e in Europa si sottolinea che la violenza sulle donne è una violazione dei diritti umani. Il futuro che ci attende riguarderà l’applicazione di tali leggi in tutto il Mondo e soprattutto l’attivazione di un percorso che cambi la mentalità della società insegnando, attraverso la scuola e ad esempi concreti,  il rispetto della vita e delle persone aldilà del proprio sesso.


Fonti:
Elisa Ferraretto ,Il Delitto di Stuprum tra Cinquecento e Seicento. Il Caso di Artemisia Gentileschi. Università Ca’Foscari Venezia

“La Violenza di Genere. Conoscerla ,Prevenirla, Riconoscerla e Contrastarla”- Seminario Università Studi di Messina. Dipartimento Scienze Politiche e Giuridiche

Ufficio dei Trattati – Convenzione di Istambul Testo su conventions.coe.int : http://www.coe.int/it/web/conventions/full-list/-/conventions/rms/09000016806b0686

Testo a Cura di Claudia Cepollaro

Info: La Giovine Storia

e sul Blog: http://lagiovinestoria.blogspot.it/

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